L’interno della Chiesa si presenta oggi con un’ unica navata e un coro quadrato; denotano uno spazio unitario estremamente raccolto, e allo stesso tempo armonioso e signorile. La navata ha quattro portali simmetrici ad incavo. L’aspetto interno è semplice e severo. La copertura è una volta a botte ribassata, con presenza di unghiature per l’apertura di vani finestre; sopra la pala dell’altare si apre una finestra a lunetta centrale. Facciata La facciata è in laterizio, alta e stretta, e presenta una forma rettangolare, divisa nella parte basamentale in basso e in una parte al centro più alta, sormontata infine da un timpano triangolare. La porzione di facciata inferiore è scandita da tre specchiature, sormontate da ghiere di arco in mattoni sui relativi montanti fatti da lesene binate. Il portone di ingresso è contenuto nella specchiatura centrale. Anche la parte superiore della facciata è scandita dalla stessa ripartizione, interrotta solo da un architrave che taglia trasversalmente l’intera area al termine del basamento, ed è evidenziata da paraste con capitello e architrave leggermente aggettante. Questi lievi aggetti hanno una funzione puramente decorativa, come le tre finte finestre che spiccano come fossero degli stendardi, appena rimarcati da una cornice un po’ più evidente. La facciata, con la sua decorazione semplice, quasi bidimensionale, ha un moto di vero plasticismo nell’architrave sopra l’ingresso e soprattutto nel timpano di coronamento, costituito da una numerosa successione di cornici in aggetto. Pavimenti e pavimentazioni La pavimentazione originaria era in semplici mattoni, sostituita poi alla fine del secolo scorso da mattonelle in cemento. Quando queste ultime sono state divelte, vennero scoperte le quattro stanze a volte per la sepoltura, completamente vuote poiché, nella sostituzione del precedente pavimento in mattoni con quello in cemento, tutte le ossa si pensa siano state trasferite nel comune ossario del Cimitero. Nel decennio dei restauri tra il 1965 e il 1975 il pavimento venne infine sostituito con quello attuale in lastre di marmo venato di rosso e lastre bianche, opera della Ditta Casavecchia di Ostia. Affreschi dell'abside Nelle parti laterali dell’abside della Chiesa vi sono due dipinti che misurano circa cm 360 x 385 con cornice in stucco. Sono due affreschi del XVIII sec., di autore locale ignoto, raffiguranti l’uno il Santo patrono in preghiera, l’altro la traversata dello stretto di Messina. Entrambi sono delimitati da cornici mistilinee in stucco bianco. Il primo si presenta con un paesaggio roccioso, nei colori dal verde al bruno, e, nella parte centrale all’ingresso di una grotta, è raffigurato S. Francesco in preghiera. In alto dei cherubini festanti dai colori rosa e celeste. Il secondo affresco rappresenta invece il Santo che attraversa sul suo mantello lo stretto di Messina con due frati e, sulla destra del dipinto, si scorge un lembo di terra con delle abitazioni: è il prodigio avvenuto il 4 aprile del 1464, in pieno giorno e alla presenza di numerosi spettatori. Ne narrano la tradizione ma anche varie deposizioni giurate nei processi; per questo il mantello è conservato nella Chiesa dei Minimi di Grenoble. Il restauro è stato concluso nel 2008 dalla Ditta Nino Pieri di Urbino in quanto le opere si trovavano in cattivo stato di conservazione per la formazione sulla superficie dipinta di sali solfati dovuti all’umidità filtrata dal supporto murario. Precedenti interventi avevano contributo a rendere precaria la superficie poiché, nel tentativo di bloccare le cadute di colore, è stata applicata una spessa mano di vernice trasparente mescolata ad olio di lino. Ora i dipinti hanno riacquistato lo splendore di un tempo. Dipinti delle pareti Si tratta di quattro dipinti ad olio su tela, opere di un pittore locale, forse lo jesino Domenico Valeri, ciascuno di dimensioni di circa cm 225 x 140; risalgono alla fine del sec. XVIII e gli inizi del sec. XIX e raccontano momenti della vita del Santo. Il primo raffigura il Santo Francesco a cui, in preghiera, appare l’ Arcangelo S. Michele con uno scudo luminoso nelle mani, sul quale si leggeva la parola “Charitas” in lettere d’oro su campo azzurro. Diventerà poi questo lo stemma dell’Ordine. Il secondo dipinto rappresenta S.Francesco di Paola che mostra il cingolo a S.Francesco di Sales, inginocchiato ai suoi piedi; in alto sono visibili dei cherubini festanti. Nel terzo dipinto è presente invece il Santo nel suo viaggio in Francia, in particolare a Bormes e Frejus quando compì molte guarigioni tra i malati di peste; colpisce la solennità degli edifici. Il quarto dipinto è la rappresentazione del santo in quanto protettore delle partorienti, che benedice con la mano destra un gruppo di donne tra edifici maestosi e alte colonne. Pala dell' Altare Maggiore Realizzata da Antonino Sarti è un dipinto ad olio su tela e rappresenta San Francesco di Paola in estasi, in presenza del Padre e di numerosi angeli. Misura circa cm 282 x 175. Il Santo inginocchiato adora l’Eterno che gli appare dall’alto avvolto in manto rosso. In basso a sinistra è dipinto il ritratto del Committente Baldassarre Galvani, a mezza figura di profilo, con le mani giunte; a destra vi sono due Cherubini; fondo di architettura con vista di Jesi. La pala fu collocata sull’altare maggiore nel 1633. Il Sarti rileva una certa inventiva nella costruzione dell’immagine, soprattutto per una resa di fisionomie di maggior fedeltà al vero naturale; le forme hanno un maggior vigore espressivo, influenza della pittura barocca emiliana, sono meno bloccate e libere di muoversi nello spazio. Il ritratto del Committente con il volto assorto e barbuto è molto realistico; sulla destra in basso due angioletti reggono lo stemma della sua famiglia rappresentato da tre piccole colline con tre chiodi appuntiti ai vertici. Il Santo Patrono guarda in estasi lo spirito celeste che gli mostra lo scudo con la parola “Charitas”, il tutto con la figura dell’ Eterno che troneggia dall’alto e, sempre in alto a sinistra, uno scorcio molto interessante della città di Jesi, lungo Via Sabella, l’odierno Corso Matteotti, fino a raggiungere il Palazzo della Signoria in lontananza. Il Restauro è del 1993/1994 effettuato dalla Ditta Pappagallo di Jesi. L’opera ne aveva urgente bisogno in quanto presentava due cuciture longitudinali, numerose cadute di colore anche dovute all’apposizione di apparature liturgiche, alcuni segni di restauri ad olio, segni perimetrali del telaio e molta polvere depositata sulle gobbe nate dal forte allentamento del supporto. La superficie colorica era così offuscata da risultare quasi illeggibile. Elementi decorativi L’immagine della Madonna venerata in Chiesa è la Vergine del Rosario nella Valle di Pompei; dopo 19 anni che l’immagine era stata esposta a Pompei una sua riproduzione era già venerata nella Chiesa. L’oleografia primitiva del 1894 fu sostituita da una piccola tela eseguita nel 1954, che però non risultava in armonia con il resto dell’ambiente; fu perciò affidato a Franco Rumori di Jesi di riprodurre in ceramica tutta la pala dell’altare con l’effigie della Madonna del Rosario circondata dai 15 misteri. L’artista ne fece un monumento inamovibile, una grande maiolica composta da 35 mattonelle, 12 delle quali occupate dalla grande figura della Vergine tra i due santi e le restanti occupate dalle figurazioni dei 15 misteri. L’opera fu messa egregiamente in opera dalla Ditta Lenti. Dipinti in Sacrestia L' "Estasi di San Giuseppe Da Copertino" è un olio su tela, seconda metà del sec. XVII, ovale di cm 67 x 52, conservato in sacrestia. Il quadretto di forma ovale rappresenta S.Giuseppe da Copertino, dell’ Ordine dei Frati Minori, in estasi e sollevato da terra con S. Antonio inginocchiato e in preghiera in basso a sinistra. Artista anonimo ma di pregio. L’opera necessita di un intervento di ripulitura e consolidamento. Dipinti in Sacrestia Lo "Sposalizio della Vergine" è un olio su tela di cm 93 x 75 conservato in sacrestia, a firma dell’ artista Domenico Monti, discreto pittore e restauratore della prima metà dell’ 800. Raffigura lo sposalizio della Vergine, con gli attori principali e poche comparse perlopiù maschili che fan da corona agli sposi. Crocefisso Crocefisso di artista anonimo ma di notevole fattura, è fissato mediante tre chiodi in ferro forgiato su un fondo di velluto verde nel quale è disegnata una croce. Si ipotizza sia del 1500, in legno di tiglio, qualche incoerenza stilistica tra la testa, il tronco e gli arti. Era tarlato ovunque, male stuccato e verniciato ancor peggio con colore ad olio (o cementite) di colore giallastro a spessore. Dita mancanti alle mani e ai piedi, legno mal conservato. Con il restauro si è rimosso a secco lo strato di vernice fino a scoprire la primitiva patina, molto rovinata; poi si sono estratti i chiodi e si è iniettato lo xjlanon B.N.indurente per disinfestare e consolidare il legno. Le parti mancanti, quali ad es. le dita, si sono ricostruite in legno di cembo (pinus cembra) molto duro. La stuccatura è stata effettuata con stucco francese colorato e sono stati applicati i chiodi in legno nero, non passanti. E’ stata data una velatura leggerissima a tempera su colore primitivo (giallo ocraceo) e una patinatura finale in cera d’api e talco. Lo stucco da ebanisti è stato invece utilizzato per la stuccatura dei fori e le corrosioni superficiali, per le lacune più gravi.Il restauro è stato terminato il 22 settembre 1972 dalla Scuola d’Arte Cristiana “B. Angelico” di Milano. Una particolarità: il crocefisso è molto simile, se non identico, a quello del Lazzaretto dei “Promessi Sposi” in Milano, il che fa pensare ad una riproduzione di bottega secondo un preciso modello di riferimento. Crocefisso Crocefisso in legno laccato policromo, di cm 79 di larghezza x 83,5 di altezza, fissato ad una croce alta cm 250 e larga cm 122,5. In seguito ad una caduta accidentale il Crocefisso subì la rottura delle gambe all’altezza delle ginocchia e delle braccia in corrispondenza delle spalle; si ruppero inoltre dei riccioli della Croce ed il piede sinistro, recuperato in frammenti con altri piccoli pezzi. Il trauma evidenziò ulteriori problemi preesistenti, provocati dall’usura del tempo e dalla mancata manutenzione: in primis la diffusa tarlatura, giunta molto in profondità nello spessore del legno, ma anche numerose lacune con perdita di pellicola pittorica. Alla luce di quanto descritto il Crocefisso venne restaurato dalla Ditta Nino Pieri di Urbino nel 2007. Organo Costruito nel 1846 dalla Ditta Cioccolani di Cingoli, è un organo meccanico composto da 570 canne, una tastiera di 50 tasti, una pedaliera di 18 pedali, 17 registri spezzati, 4 registri ad ancia, un pedale per registri ad uso aggiustabile meccanico. Il restauro, terminato nel 1974, è stato effettuato dalla Ditta “La Callidiana” di Luciano Norbiato di Casalserugo (Padova), con una nuova cassa decorativa e nuovo mantice; è stato collocato nella nuova cantoria costruita in cemento armato.
V. Suor Maria Mannori - Jesi (AN)